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La seconda vita della centrale atomica

di Matteo Fagotto foto di Marc Shoul

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30 ottobre 2009

Negli anni Settanta, in pieno regime di apartheid, era un laboratorio segreto per la costruzione di bombe atomiche. Oggi la centrale nucleare di Pelindaba, alle porte di Pretoria,è diventata il più importante produttore mondiale di radioisotopi per uso medico e diagnostico e contribuisce ogni anno alla cura di dieci milioni di persone in tutto il mondo

La centrale di Pelindaba, con il «fungo» che contiene il reattore nucleare Safari-1



Nell'immensa stanza a vetri che ospita l'armatura in alluminio e calcestruzzo del reattore Safari-1 il silenzio è rotto solamente da un flebile ma costante ronzio di sottofondo. Nonostante le decine di luci giallognole al neon che scendono dal soffitto, la piscina in cui è immerso il nucleo è colorata di un blu intenso, sprigionato dall'energia dei neutroni che si muovono nell'acqua alla velocità della luce. Ogni cinque giorni una serie di barre metalliche irradiate di uranio esce dal Safari-1 per finire nei laboratori di Pelindaba, il com-plesso nucleare più grande del Sudafrica, che si estende su 2.300 ettari di colline brulle e aride alle porte di Pretoria. Poco meno di vent'anni fa, l'uranio sarebbe finito in una delle testate nucleari costruite dal regime dell'apartheid tra gli anni Settanta e Ottanta. Oggi viene sfruttato per la produzione del più importante radioisotopo utilizzato dalla medicina nucleare nella diagnosi di malattie quali il cancro o i disturbi cardiaci: il molibdeno 99 (Mo-99).

Visto da fuori, con la sua cupola sporgente rivestita di cemento armato traforato che si staglia nel cielo azzurro, il Safari-1 assomiglia ironicamente a un fungo atomico. Qui, tra gli anni Settanta e Ottanta, il governo sudafricano produsse l'uranio necessario a costruire le sue sette bombe, grazie a un progetto sviluppato in patria, in barba all'embargo economico e sotto gli occhi distratti della comunità internazionale. All'apice del programma, abbandonato all'inizio degli anni Novanta in coincidenza con l'apertura all'African Na-tional Congress di Nelson Mandela, Pelindaba dava lavoro a più di ottomila persone. In confronto, le circa 1.200 impiegate oggi sono poca cosa. Ma se la fase di transizione della centrale è andata di pari passo con l'avvento della democrazia in Sudafrica, l'importanza del suo passaggio da laboratorio bellico a pilastro della medicina nucleare supera i con-fini nazionali.

Atomi instabili radioattivi creati in laboratorio, i radioisotopi vengono iniettati assieme a una serie di molecole e si posizionano nei diversi organi del corpo umano permettendo di studiarne la fisiologia, o il funzionamento, a differenza delle radiografie, che si limitano a fornire informazioni sulla forma e la grandezza. Proprio per questa caratteristica, il loro utilizzo è fondamentale nella diagnosi di diverse malattie e nella distruzione delle cellule tumorali. Al momento Pelindaba copre circa il trenta per cento del fabbisogno mondiale di Mo-99, e contribuisce ogni anno alla cura di almeno dieci milioni di persone sparse tra l'Europa, il Nordamerica, la Cina, l'India, la Turchia e l'Australia.

Dopo la chiusura a tempo indeterminato del canadese National Research Universal Reactor, avvenuta nel maggio 2009, il Safari-1 è diventato il primo produttore di Mo-99 al mondo, colmando in parte la strutturale insufficienza di radioisotopi per uso medico sul mercato internazionale. Grazie al calo dell'offerta e al conseguente aumento del prezzo del Mo-99, le entrate della Ntp Radioisotopes, una sussidiaria della statale South African Nuclear Energy Corporation (Necsa) che gestisce Pelindaba, quest'anno dovrebbero cre-scere del 25 per cento, superando i quaranta milioni di euro.

Parte del denaro verrà utilizzato per migliorare le strutture e aumentare la capacità produttiva di un settore i cui costi di gestione sono molto alti. Essendo elementi instabili, i radioisotopi decadono rapidamente (dopo appena 66 ore il Mo-99 perde metà della propria carica radioattiva), ponendo seri problemi ai produttori. Specie se, come nel caso di Pelindaba, i clienti si trovano tutti ad almeno otto ore di volo dal più vicino aeroporto. «La logistica è uno dei punti critici della nostra attività - conferma Roland von Gogh, uno dei manager della Ntp -. Ogni sera, il Mo-99 viene caricato, in appositi container, sugli aerei commerciali in partenza da Johannesburg. L'intera procedura è sicura, ma costosa». I problemi logistici non sono gli unici che il management di Pelindaba deve affrontare. Il mantenimento di tutte le strutture richiede un monitoraggio e una manutenzione continui, specie se, come nel caso del Safari-1, il reattore è vecchio di quarant'anni, pur se in ottimo stato.

Del passato di Pelindaba rimangono oggi poche tracce: i sette ordigni nucleari furono tutti distruttix ancora prima che, nel 1993, l'allora presidente Frederik de Klerk ne am-mettesse l'esistenza. La Y-Plant, ideata per l'arricchimento dell'uranio destinato al Safari-1, fu smantellata nel 1991, così come il Building 5000, usato per gli esperimenti. A simboleggiare il suo nuovo corso, Pelindaba ha dato il nome al trattato che, firmato nel 1996 al Cairo dall'allora Organizzazione dell'Unione Africana, entrerà in vigore alla prossima ratifica e bandirà dal continente qualsiasi arma nucleare. A fine giugno anche l'ultima eredità del passato è scomparsa: il Safari-1 ha consumato tutto il combustibile nucleare ad alto arricchimento ideato per le bombe ed è stato riavviato utilizzando uranio a basso arricchimento, perfetto per la produzione di radioisotopi ma insufficiente per costruire un ordigno.

  CONTINUA ...»

30 ottobre 2009
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